PUNTATA 15 DI “LE CHIAVI DI CASA”, UN PODCAST DEL GRUPPO TECNOCASA
Con la pungente ironia che da sempre lo contraddistingue, il comico e formatore Enrico Bertolino racconta a “Le Chiavi di Casa” la sua concezione di casa fra aneddoti divertenti e curiosità.
Di seguito la trascrizione della puntata condotta da Matteo Ranzini.
Bentrovati a una nuova puntata del podcast io sono Matteo Ranzini e oggi abbiamo un ospite speciale. I presentatori, quelli bravi, direbbero che è un personaggio “poliedrico” perché attore di cinema e di teatro, conduttore, comico, formatore, consulente aziendale. A noi piace definirlo un amico del Gruppo Tecnocasa e quindi diamo il benvenuto ad Enrico Bertolino.
Grazie mille Matteo, grazie a tutti voi. E sì, mi fa piacere. Essere un po’ di famiglia qua.
Ok questo è l’intento, ci sta quindi la definizione…
Dopo tanti anni ci sta. È un piacere ed un onore essere parte di questa famiglia.
Grazie di aver accettato l’invito, partirei proprio da questo, Enrico, da un tuffo nel passato. Tu hai partecipato a diversi convegni del Gruppo Tecnocasa, dal ‘98 con Fabio Fazio.
E Paolo Brosio inviato, immobiliarista, agente immobiliare.
Anche con Fabrizio Frizzi. Cosa ricordi di queste esperienze? Magari anche qualche episodio curioso? Qualche aneddoto che ti è rimasto come istantanea?
Sicuramente l’emozione, perché ero agli inizi. All’epoca facevo i miei primi eventi e questi erano particolari, venivo da un mondo diverso, da un mondo del lavoro dove ho fatto 11 anni di banca, 11 anni di consulenza, cioè dopo anni di lavoro sono arrivato al mondo della comicità. E a 37 anni mi trovavo in condizioni dove non riuscivo più a capire se la realtà fosse quella artistica o quella aziendale. Venendo a confronto con Fabio Fazio, con quel mondo, con Fabrizio Frizzi, che era un grandissimo personaggio umanamente e professionalmente, per me si trattava di qualcosa di nuovo. A 37 anni si trattava di una situazione atipica, di solito i colleghi che fanno spettacolo esordiscono direttamente in questo mondo e non provengono da altre attività oppure hanno piccole attività di cabotaggio che poi trasformano nell’attività principale. Il primo convegno, quello di Fabio Fazio, ero ancora con la giacchettina verde che mi contraddistingueva, peraltro il verde è un colore speciale…
Esatto, il colore del Gruppo Tecnocasa…
Con quella giacchettina Verde ho fatto i miei primi spettacoli. L’avevo comprata in un negozio da un mio amico che mi disse: Enrico questa te la regalo, non avrai il coraggio di metterla…e invece la indossavo per i miei spettacoli. E a quel convegno ero, appunto con questa giacca.
Davanti a 10mila persone…
Ecco, quello è un altro elemento quando si lavora con voi. Ho provato anche questa sensazione a Pesaro, di fronte a una moltitudine di persone. Sembrava di essere ad un concerto, si avvertiva una passione trascinante, trainante, che dà poi una bella sensazione anche a chi si trova sul palco. Può anche spaventare, però quando sei là sopra senti questa vicinanza, senti questa trasmissione di amorosi sensi.
Senti Enrico, il nostro Podcast si chiama “Le chiavi di casa”. A proposito: la casa è un tema che può essere affrontato da mille punti di vista, ha tante sfaccettature. Tu che concezione hai della casa? Cioè per te è un posto fisico? Ha un significato simbolico? Che significato dai al nido domestico?
Per me la casa va al di là del luogo fisico, è un luogo dell’anima. La casa per me è il rifugio, è dove torni. Quando finisce tutto quello che c’è fuori a casa tua deve esserci casa tua. Per questo mi definisco un “nomade stanziale”, cioè uno di quelli che continua a girare nel mondo ma che mantiene la voglia di casa. Ho fatto tanti viaggi, mi piace viaggiare, ho avuto opportunità di farlo anche per lavoro, per cui ringrazio ulteriormente questa attività che me l’ha permesso. Ma quando torni a casa, torni a casa. Il nomade viaggia e non ha casa, io invece sono stanziale, cioè mi piace stare in un posto e poi girare e vedere tutti gli altri, ma tornare a casa. Sono uscito tardi da casa mia, perché stavo benissimo con i miei genitori. E infatti una volta Maurizio Costanzo durante un’intervista me lo disse: lei è uscito a trent’anni di casa dei genitori? Ma è impazzito? Sono uscito a trent’anni perché stavo da Dio, ho risposto. Mi scusi, Costanzo, ma lei, sua moglie, quella che ha adesso dico, le stira le camicie e poi le mette la lavanda nei colletti? No, non lo fa. E allora capisce? La mia prima casa l’ho presa in affitto a 300 metri da quella di mia madre.
È un classico.
Scendevo con le borse, portavo là e poi lei lavava, addirittura la salutavo dal balcone. Era una casa in affitto poiché non avevo, all’epoca, grandissime disponibilità. Ricordo che ogni tanto le persiane a scorrimento uscivano e di notte giravo con le persiane in mano come Ercole e le sue fatiche…Poi, ho avuto una casa mia più bella, ho potuto permettermi di comprarla. Ho insistito per anni con i miei genitori perché dall’affitto passassero alla vendita, ma non hanno cambiato idea proprio per rimanere nel luogo dove per 63 anni sono stati bene. Comunque la casa per me è fondamentale, è un nido domestico, un punto di riferimento, un luogo dove mi sento protetto.
A casa hai un luogo prettamente tuo? Una comfort zone?
Sì…avevo l’ufficio ma poi sono stato sfrattato da mia figlia che adesso ha 15 anni. Le discussioni coi figli sono perdenti in partenza…quindi abbiamo adattato il locale per realizzare la sua camera. Il mio luogo adesso è il divano con la televisione, nell’angolo scaramantico dove guardo le partite. Quando c’era mio padre guardavamo insieme le partite e lo posizionavo nell’angolo scaramantico…ma non lo facevo alzare per tutta la partita…è arrivato ad una certa età e doveva andare ai servizi…no…lo obbligavo a rimanere fermo.
Enrico, hai parlato di viaggi: per la tua attività hai viaggiato veramente tantissimo e la casa è un luogo fisico, stanziale, ma ci sono anche dei luoghi astratti che possono diventare casa oppure dei nuovi luoghi che scopri dove ti senti a casa anche se non sei nella tua casa. C’è un posto dove avverti questa sensazione?
Sì, nel mondo è stato il Brasile, uno dei posti dove mi sono spesso sentito a casa. In alcuni alberghi mi sento a casa perché a volte basta l’empatia delle persone. Una volta avevo una portinaia che non era empatica, chiedeva sempre tutto a tutti con fare sospettoso. Quando invece trovi portieri d’albergo gentili, empatici, ti senti a casa. Per me contano molto i rapporti con il vicinato. Mia nonna, ad esempio, abitava in case di ringhiera, dei veri e propri santuari della collettività e dell’amicizia, dove le persone si aiutavano a vicenda. Se non sentivi per giorni la signora del terzo piano le andavi a bussare per chiedere se tutto andava bene e se avesse bisogno qualcosa. Quando trovo un albergo che ha ancora queste sensibilità, queste gentilezze mi sento a casa.
Tu adotti un tipo di ironia che definirei saggia, senza moralismi. Però ci fari ridere. Ci sono episodi divertenti che ti sono accaduti legati al mondo immobiliare?
Ti cito l’esempio che mi tocca più da vicino. Vivo nello stesso quartiere da più di 60 anni…ed ho visto l’evoluzione della zona: prima era un quartiere malfamato, quando ero piccolo tutti mi dicevano “Ma tu abiti lì? Mi dispiace…ma stai attento ad uscire…” Quando dicevo dove si trovava la mia casa sembrava che abitassi ad Alcatraz e tutti mi invitavano a cambiare. Io ho resistito perché il mio quartiere mi piaceva, c’erano ancora i rapporti umani, uscivo e parlavo coi negozianti, i bottegai. Con il trascorrere degli anni il quartiere è cambiato ed è diventato ambìto, ci hanno costruito nuove case, spazi verdi. Ad un certo punto la gente ha cominciato a dirmi: “Ma tu abiti lì? Ma quanto sei fortunato…”
In questo mondo dove l’intelligenza artificiale sta quasi sovrastando quella umana, che scenari vedi all’orizzonte?
Sono propositivo e positivo, nel senso che ritengo l’intelligenza artificiale una grandissima scoperta e una nuova rivoluzione industriale accelerata. Se nella rivoluzione industriale, quella di tanti anni fa, furono necessari 10-15 anni per la sua affermazione quella di oggi in due anni è già operativa e bisogna prenderne atto. Non serve demonizzarla, è una cosa importante. Ne parlano tutte le riviste di management, ne parlano tutti. Tutti i convegni oggi comprendono la parola intelligenza artificiale. Le persone hanno paura che questa tolga posti di lavoro. Sono stato recentemente a Brighton in Inghilterra a trovare un amico e collega ed ho scoperto che le poste britanniche già consegnano le prime lettere con i droni. E il tutto è gestito da intelligenza artificiale. Questo vuol dire che il postino se è di quelli che ti buttano la posta fuori dalla tua casella.
Nel Naviglio?
Nel Naviglio… probabilmente non ha più motivo di esistere come tanti anni fa. In alcuni lavori per mantenere la propria posizione occorre essere “umani”. Ho visto recentemente il filmato di una pubblicità di una birra proprio in Inghilterra, dove c’era questo robot che corre velocissimo, che salta, che batte gli umani in tutte le gare. Poi si affaccia in un bar, vede quattro persone che bevono una birra, scuote la testa e capisce che là non ci potrà entrare. E questo è il fatto, l’umanità, la collettività, il senso della squadra, l’appartenenza non possono essere artificiali. L’appartenenza conta. Lo vedo dalla cravatta che hai.
E dal Pin..
Esatto, cravatta e pin, questa è l’appartenenza. Quello che ho riscontrato nel Gruppo Tecnocasa è la sua forza, il senso di appartenenza che nessun algoritmo può superare o cancellare.
Enrico, il nostro è un gruppo molto giovane, ci sono tanti giovani che entrano, tante opportunità. Vorrei sfruttare le tue competenze da HR, ricerca personale. Tu cosa consiglieresti ad un ragazzo o una ragazza che si approccia al mercato del lavoro e quindi presenta un curriculum, sostiene un colloquio?
È difficile erogare consigli perché quello del Recruiter è un mercato molto delicato. Oggi l’headhunter vero è quello che conosce i nominativi, quattro o cinque sulla punta delle dita di una mano e li suggerisce all’azienda giusta. Altrimenti c’è Linkedin, ci sono una marea di social che ti permettono di cercare lavoro. Ad un ragazzo giovane che si approccia al mondo del lavoro, la prima cosa che dico è di mantenere curiosità ed entusiasmo, oltre al fatto di sapere gestire bene il freno a mano. I ragazzi che spesso citofonano da me, che non sono del vostro gruppo, sono persone che hanno una grandissima buona volontà ma non tengono conto del senso della misura. E’ un aspetto che impatta su ogni lavoro… Se faccio satira non posso farla unilateralmente, perché sarei fazioso. La satira non va verso la destra o la sinistra va verso chi ha il potere. Però bisogna fare attenzione a non ledere la figura umana, la persona. Bisogna tenere dei limiti, il freno a mano non posso tirarlo io, devi tirarlo tu. Ai ragazzi dico: mantenete l’entusiasmo, la forza e la curiosità. Curiosità significa avere il desiderio di imparare, io non ho mai smesso di imparare, credo che non smetterò mai. Ho imparato dal vostro convegno, come gestire per esempio una platea di 13.000 persone, non avevo avuto tante occasioni prima, non faccio il cantante, non vado negli stadi, non faccio le curve, non sono Vasco. Una volta ero ad un evento con Antonello Venditti e gli chiesi: Antonello ma come fai davanti a tutte queste persone? Mi rispose: facciamo partire la musica…e quando parte poi io canto, è facile”. Per noi non è così, è un diverso approccio al pubblico. Ricordo la partecipazione in qualità di ospite ad un evento dove in un hangar a Roma si riunivano i parrucchieri di tutta Italia. In quell’incontro parlò Papa Wojtyla, erano 3500 persone che transitavano, non uscivano neanche dall’aeroporto, arrivavano lì, facevano l’evento, un breve catering e poi tornavano, ciascuno con l’aereo, a casa. All’inizio hanno fatto le pieghe dei capelli con le televisioni a riprendere e poi è toccato a me. Avevo persone con la valigia in mano che stavano partendo, che avevano una marea di problemi a che a cui dovevo comunicare qualcosa. Lì devi essere entusiasta. Se non metti la tua verve, la tua carica, non può funzionare. Quella carica permette a me, come a tanti altri, di lavorare anche in epoca di intelligenza artificiale. Puoi doppiarmi finché vuoi, ma il mio entusiasmo non lo doppi. Puoi rifare la mia voce finché vuoi, ma la mia curiosità, la mia felicità di essere lì non le riproduci.
Prima di chiudere, Enrico, tu sei sempre molto attivo e quindi volevamo capire che progetti hai in corso, sia dal punto di vista teatrale che televisivo.
Televisivamente mi sono messo in testa, ma prima o poi ci riuscirò, di realizzare un format sul lavoro. L’ho confezionato ed è pronto. Ho già alcune trattative, ma non voglio che sia un gioco, non è un game, è qualcosa sulla formazione. Vorrei realizzare un programma dove le persone possano partecipare ed avere degli incentivi ad imparare a crescere e che sia un contenitore divertente. Non sarà sullo stile di “The apprentice” o “Boss in incognito”…peraltro uno dei conduttori di “The apprentice” all’inizio era Donald Trump…poi ha fatto carriera. Mi piacerebbe portare a termine questo progetto ma non ho fretta, aspetterò di ricevere un’offerta compatibile con le mie esigenze. Poi c’è l’Istant Theatre, il teatro istantaneo, che sto facendo insieme al regista Massimo Navone con Luca Bottura ed i miei giovani musicisti. Ogni volta cambiamo lo spettacolo, rimane il contenitore e gli mettiamo un titolo diverso. Abbiamo già portato in tour “Una serata di ordinaria ironia” prendendo spunto da Michael Douglas e “Vecchi si nasce ma non si diventa” per cui vuol dire che l’anzianità ce l’hai dentro. Tu già un po’ anziano ti senti?
E un pochino sì, Eh, stiamo andando un po’ alla deriva…
Attento che dopo una certa età si invecchia con gli anni dei cani, uno vale sette…Per continuare ho fatto Zelig, Only Fun sul Nove, l’anno prossimo andranno in onda alcune puntate. Ormai faccio quello che dice Tony Servillo ne “La Grande Bellezza”: sono arrivato a 65 anni per scoprire che ho voglia di fare solo quello che mi piace. E ovviamente che piace agli altri. Mi piace continuare ad occuparmi di formazione. L’emozione che ti dà il fatto di uscire da un’aula e vedere una persona che ti ringrazia perché gli hai detto delle cose, magari apparentemente banali, a cui non aveva avuto modo di pensare è gratificante. Recentemente un partecipante a un mio corso di formazione mi ha scritto una mail commovente: Sono venuto al suo corso con una sensazione di fatica interiore. Non avevo più voglia di lavorare, mi sentivo maltrattato e poco considerato nella mia azienda. Lei mi ha fatto capire che il problema non è dell’azienda, ma è mio. E per cui da domani io cercherò di migliorare. Non è detto che rimarrò qua magari tanto tempo, però per quel tempo in cui rimarrò voglio cercare di migliorare. Questo è l’obiettivo massimo per chiunque si occupi di formazione.
Ultimissima domanda: siamo a reti unificate, possiamo usare questo trampolino: non devi vendere casa, comprare casa? Quindi lasciamo in pace Enrico Bertolino?
Se ti ricordi alla trasmissione tv “Ciro il figlio di Target” interpretavo un personaggio che si chiamava Pantegazza e che era un immobiliarista svizzero. Diceva “C’è un bellissimo immobile, venite su in Canton Ticino, i vicini, sono sereni, non disturba nessuno. C’è un silenzio incredibile. Alla fine sai cosa stava vendendo? Un loculo al cimitero come immobile. Evidentemente era destino che impattassi con la realtà immobiliare… Solo che poi alla fine qualcuno telefonava veramente alla trasmissione…voleva veramente comprarlo.
Enrico, grazie della tua partecipazione.
Grazie, è stato un piacere essere qua con voi e soprattutto avere l’opportunità di lavorare con voi per tanti anni. È stato, per me, arricchente ed educativo.
Per domande o proposte relative ai contenuti del nostro appuntamento potete scrivere a social@tecnocasa.com.
Le chiavi di casa, un podcast prodotto dal Gruppo Tecnocasa.